Storia di fontane, giardini e di un “sogno reale”

 

Può un’opera di architettura e ingegneria del ‘700 essere considerata, ancora oggi, un vero capolavoro dell’arte all’avanguardia? A Caserta è possibile! Il Palazzo Reale con il suo straordinario Parco ne sono una bellissima testimonianza.

Parco della Reggia di Caserta

Soffermarci sulla storia della Reggia di Caserta e delle sue meraviglie, invitando alla visita, sembra quasi scontato. Si tratta di un gioiello architettonico e artistico conosciuto in tutto il mondo. È un orgoglio, non solo per chi vive a Caserta, vederla protagonista in speciali televisivi, oppure un riferimento nei libri di storia dell’arte e, ancora, ricercata da visitatori e turisti di ogni nazionalità. Il suo fascino, però, non si limita solo alla bellezza dei suoi appartamenti e dei suoi giardini.
La Reggia di Caserta è un simbolo di supremazia e potenza, di razionalità ed efficienza, come dimostrato principalmente dal progetto che ha dato vita al Parco e all’imponente Acquedotto Carolino. Proprio su questi vogliamo soffermarci, per potervi raccontare la storia di un sogno divenuto “reale”, in tutti i sensi, grazie a un’idea molto ambiziosa.

Il progetto del Parco

 

Luigi Vanvitelli fu l’architetto, incaricato dal re Carlo di Borbone, che elaborò il progetto e inaugurò i cantieri nel 1753. Purtroppo non riuscì mai a vedere il Parco completato; nel 1773, anno della sua morte, non era stata ancora realizzata nessuna vasca. Fu suo figlio Carlo a proseguire il progetto, apportando delle variazioni all’idea iniziale.
L’obiettivo era quello di dare vita a un’elegante e ordinata serie di fontane, cascatelle, prati e bacini abbelliti da giochi d’acqua e raffinati decori, fondendo lo stile del giardino rinascimentale italiano con quello dei giardini delle grandi residenze europee, in particolare di Versailles.

Fontana Margherita

La pendenza data dal terreno accentua un curioso effetto ottico: le diverse vasche, che si susseguono per l’intero percorso, creano l’illusione che le acque della cascata sommitale scorrano seguendo una linea ininterrotta quasi fino all’ingresso. Nella realtà, lunghi bacini si alternano a piccoli prati disegnando la cosiddetta Via d’Acqua, un lungo percorso che inizia con la fontana Margherita, seguita da quella dei Delfini, dall’esedra di Eolo, dalla Fontana di Cerere e poi quella di Venere e Adone e si conclude con il gruppo scultoreo della Fontana di Diana e Atteone.

Il bacino dei Delfini

 

Fontana dei delfini

Prende il nome dalle statue realizzate con marmo estratto dalle cave del vicino comune di Bellona e costituite da tre mostri marini con testa di delfino. L’idea originaria, prevista nel disegno di Luigi Vanvitelli, vedeva qui delle sirene. Probabilmente, il figlio Carlo semplificò il progetto senza però togliere nulla al significato simbolico che si voleva dare alla scultura, che vuole rappresentare la grande potenza dell’acqua.

La Fontana di Eolo

 

Fontana di Eolo

Proseguendo si ammira la bella Fontana di Eolo, una bella esedra in marmo caiatino, scandita da arcate, piccole aperture e decorata da ben 28 statue. È rappresentato il momento in cui la dea Giunone chiede al dio del vento di allontanare Enea dall’Italia scatenando una tempesta di venti ritratti da figure alate che escono dalle grotte retrostanti. La grande vasca simboleggia il mare che abbraccia le isole Eolie, dimora del dio. L’opera è incompiuta; mancano, infatti, la statua di Eolo e quella di Giunone su di un carro trainato da pavoni.

Fontana di Eolo

Quest’ultima è situata presso i vicini uffici della Soprintendenza, così come una delle tre isole che doveva essere presente nel bacino.

La Fontana di Cerere

 

A seguire si incontra la Fontana di Cerere, dea della fertilità, circondata da ninfe, amorini, gruppi di tritoni e dalle personificazioni dei fiumi siciliani Anapo e Arethusa. La dea tiene in alto un medaglione con il simbolo della Trinacria.

La Fontana di Venere

 

Fontana di Venere

La successiva Fontana di Venere rappresenta il drammatico momento in cui la dea, follemente innamorata di Adone, lo scongiura di non andare a caccia. Tra gruppi di amorini e cani festanti, appare il dio Marte nelle vesti del cinghiale che lo ferirà a morte.

La Fontana di Venere e Atteone

 

Fontana di Venere e Atteone

L’ultimo bacino è dominato dalle sculture che ritraggono Diana, circondata dalle sue ninfe e in procinto di tuffarsi in acqua, e Atteone mentre spia di nascosto le sue nudità. Per vendetta, la dea lo tramuta in un cervo che verrà sbranato dai cani.

Fontana di Venere e Atteone

Ai lati, due scale conducono sulla sommità della collinetta da cui sgorga l’alta cascata del torrione. Si può accedere, qui, a una caverna da cui si gode il bellissimo panorama che corre verso il mar Tirreno.

Fontana di Venere e Atteone

L’ Acquedotto Carolino

 

Un’opera del genere aveva bisogno di una portata d’acqua di una certa rilevanza. Per questo Vanvitelli pensò a una grandiosa impresa ingegneristica che catturò l’attenzione di tutta l’Europa del tempo ed è, ancora oggi, una delle opere più importanti fatte eseguire dai Borbone: l’ Acquedotto Carolino.

Acquedotto Carolino – Foto di Ciro Schiavone

L’intero tracciato percorre circa 38 chilometri e collega le sorgenti del monte Taburno al Parco Reale, superando paludi, colline e valli, mantenendo una pendenza eccezionale di solo mezzo millimetro per ogni metro. Il suo percorso è per gran parte interrato a eccezione di alcuni tratti che vedono la presenza dei cosiddetti ponti-canale.
I più importanti di questi sono i Ponti della Valle, nel comune di Valle di Maddaloni, costituiti da una serie di arcate in tufo che si sviluppano su tre livelli. Un’opera monumentale degna di un re che raggiunge un’altezza di 60 metri e una lunghezza che supera i 500 metri.
Il giorno dell’inaugurazione dell’ Acquedotto, il 7 maggio 1762, l’acqua impiegò quattro ore per raggiungere Caserta dal Taburno. Dopo un’infinita e scalpitante attesa, zampillò dalla collina di Briano dando vita alla cascata. Fu un momento di grande gioia e soddisfazione non solo per Vanvitelli ma anche per la squadra di studiosi e di matematici che collaborò con lui.
La grandezza di questo progetto è legata soprattutto al fatto che l’ Acquedotto doveva migliorare il rifornimento di acqua potabile della città di Napoli, della nascente città di Caserta e di San Leucio. Lungo il suo percorso alimentava mulini, pastifici e serviva all’irrigazione di terreni. Non era, quindi, il frutto di vanesi desideri di un re che aveva manie di grandezza, ma una vera opera che doveva servire al popolo. Un capolavoro che abbiamo la fortuna di poter ammirare ancora oggi in tutto il suo splendore.